Ciao a tutti, continuo la rassegna di post di riflessione e confronto tra la scuola di fine ‘800 e quella di oggi, prendendo spunto dal libro “Cuore” di E. De Amicis. Nel mio precedente articolo avevo promesso che avremmo parlato di modeling.
Cosa si intende col termine modeling? Albert Bandura, noto psicologo, evidenziò come l’apprendimento potesse avvenire attraverso esperienze indirette, sviluppate attraverso l’osservazione di altre persone. Bandura ha adoperato il termine modeling (imitazione) per identificare un processo di apprendimento che si attiva quando il comportamento di un individuo che osserva si modifica in funzione del comportamento di un altro individuo che ha la funzione di modello. Quindi il comportamento è il risultato di un processo di acquisizione delle informazioni provenienti da altri individui.
Nel libro Cuore quasi in ogni paragrafo un personaggio funge da modello di comportamento per gli altri personaggi presenti nella storia, partendo dagli adulti, come i maestri e i genitori, fino ad alcuni bambini che compiono qualche azione speciale. Inoltre ci sono una serie di racconti, dal “piccolo scrivano fiorentino” alla “vedetta lombarda” che hanno proprio la funzione di offrire dei modelli educativi da imitare.
In questo libro, il racconto delle storie e delle vicende di personaggi esemplari è lo strumento principe per educare i nuovi italiani. E. De Amicis scrive il libro Cuore per divulgare valori e modelli e questo libro viene adottato nella didattica scolastica per decenni con l’intento di promuovere sia negli adulti, che dovevano fare da esempio, che nei bambini e ragazzi che dovevano apprendere, stili di comportamento civili e adeguati ai vari contesti di vita.
Nella mia esperienza di scolara le cose sono andate proprio così ma il modeling non si limitava al contesto scolastico. Non solo genitori e insegnati erano adulti autorizzati ad educarmi ma ogni adulto che incontravo era un potenziale modello di comportamento da cui apprendere, dai vari membri della famiglia, agli allenatori sportivi, ai genitori dei miei amici, ai vicini di casa. Insomma la società per intero, esclusi ovviamente gli esempi diseducativi, assumeva su di sé il compito di educare le nuove generazioni.
Oggi è ancora così? Noi adulti ci sentiamo investiti di questo compito o abbiamo abdicato, delegato o limitato tale ruolo? Me lo domando perché nella mia esperienza professionale mi capita di imbattermi in casi diversi: persone che sostengono che dovrebbe essere solo la scuola deputata all’educazione, persone che sostengono che dovrebbe essere un compito esclusivo dei genitori, persone che delegano comunque ad altri l’educazione delle nuove generazioni. Sto parlando di casi ovviamente, non in generale, ma non vorrei che questi casi fossero il segnale di un problema più vasto ecco perché pongo queste domande. E se la risposta fosse che non è più l’intera società a sentirsi investita del ruolo educativo ma solo alcune persone, siamo sicuri che i giovani incontrino nel loro percorso di crescita sufficienti modelli di comportamento? Chi si occupa insomma di insegnare loro le life skills?
Le life skills, un altro interessante argomento di cui vi parlerò nel mio prossimo articolo. Per ora di lanciato una bella “patata bollente”, un quesito non facile a cui rispondere ma a me basta che ci si rifletta almeno un poco. Il mio intento come sempre è di introdurre degli argomenti di psicologia e lasciare a chi legge qualche spunto di riflessione senza la pretesa di avere la soluzione in tasca. Meditate quindi gente, meditate e se lo desiderate esprimete le vostre opinioni. Al prossimo post e restate connessi!